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A Roma brilla una nuova stella nella ristorazione

Acquolina, lo stellato di Via del Vantaggio, all'interno dell'hotel The First Arte, nel segno della continuità con Angelo Troiani

Daniele Lippi, classe 1990, si è insediato al timone della cucina di Acquolina, il ristorante gourmet dell’hotel The First Roma ARTE, di via del Vantaggio, che dal 2009 ha conquistato l’ambita stella Michelin.

 

Cresciuto alla scuola dei fratelli Troiani, per 9 anni presso il Convivio, Head Chef dal 2015, Daniele Lippi perfeziona il suo stile con varie “incursioni” ai vertici del panorama stellato internazionale, da Yannick Alléno – Pavillion Ledoyen***, Paris – a Enrico Crippa – Piazza Duomo ***, Alba – a Grant Achat, presso Alinea Restaurant di Chicago e ancora in Spagna con Paolo Casagrande al Lasarte ***di Martin Bersategui.

 

L’arrivo di Daniele Lippi conferma da una parte continuità con la gestione di Angelo Troiani, executive chef, e dello che, scomparso prematuramente un anno fa, con il quale Daniele era legato da un rapporto di profonda amicizia. Ma nello stesso tempo rivendica il desiderio di sperimentare e di innovare, di sorprendere e divertire, di padroneggiare la tecnica ma di lasciarsi guidare dalla fantasia. Chi conosce la cucina di Daniele Lippi sa che non si annoierà.

 

Con i suoi 28 anni, Daniele è curioso, ha ancora voglia di giocare, il suo sguardo è lieve ma acuto: “Non mi prendo mai troppo sul serio – dice – ma prendo la cucina molto sul serio. Ho troppo rispetto per questo lavoro, cosa c’è di più importante del cibo? Ma la vita è anche leggerezza e voglia di guardare oltre le apparenze”. Oltre le apparenze… una specie di mantra per Daniele, capace di servirci un carciofo che in realtà è un topinambur, di far giocare midollo e capasanta allo scambio dei ruoli, di far vestire l’anguilla da costina di maiale. Acrobazie? Espedienti? Niente di tutto ciò. Daniele è a suo modo poetico trasformando un tubero che vive sottoterra in un fiore che si apre al sole. Si lascia sorprendere dai sensi, il gusto di un vegetale che ne richiama un altro, la vista di un prodotto che gli ricorda la forma di un altro, il profumo di un ingrediente che lo riporta in uno scenario diverso e poi insegue un’idea e la realizza con maestria e senso estetico.

 

“Daniele vuole sorprenderci con il miglior cibo possibile ma farci sognare – dice Andrea La Caita, General Manager e partner di Acquolina – Abbiamo sempre scommesso sui giovani, l’arrivo di Daniele Lippi come Head Chef è la conferma in chiave evolutiva del percorso di Acquolina, che si è guadagnata sul campo un’ottima reputazione nello scenario della ristorazione contemporanea capitolina.”

 

La brigata in cucina è confermata - con una new entry, il Pastry Chef Pier Simone Guarino - così come in sala, con Benito Cascone, Restaurant Manager e Emanuele Pica, Head Sommelier.

 

Il menu firmato da Daniele Lippi che oltre al pesce ha offerto anche piatti di carne e vegetariani con un menu degustazione “Bosco e Riviera” in omaggio all’amico Alessandro Narducci. Forse il modo migliore per capire lo spirito della nuova cucina di Acquolina è sentire lo chef che racconta uno dei suoi piatti:

 

Topinambur come un carciofo

 

Il concetto di questo piatto è legato alla tradizione romana, ad un tubero che vuole diventare un fiore, alla rinascita e al voler arrivare a vedere la luce.

 

Tecnicamente la storia nasce, in un bel giorno di inizio estate, quando i carciofi erano finiti, e non ci siamo persi d’animo e abbiamo voluto cercare in un ortaggio il sapore, la struttura del carciofo e l’aspetto visivo.

Qual è l’ortaggio che si avvicina di più al carciofo?

Nel linguaggio comune il topinambur si definisce “una patata che sa di carciofo”, da qui il nome inglese “jerusalem artichoke”. Dopo la selezione del prodotto arriviamo a dargli la struttura e il sapore sempre più vicino alla tradizione del carciofo alla romana. I topinambur vengono affettati finemente ottenendo delle foglie, che vengono cotte sottovuoto con olio, prezzemolo, mentuccia e aglio (qui troviamo la tecnica della tradizione romana) dopodiché viene formata una rosa con le fette di topinambur e viene fritta non per immersione ma versando olio bollente (qui troviamo la tecnica della giudia) in modo da farlo aprire come se fosse un carciofo. Alla base abbiamo una crema di topinambur che non subisce caramellizzazione e andiamo a reinterpretare il cuore del carciofo molto dolce. In superficie poniamo il ripieno di aglio prezzemolo e mentuccia. E andiamo a glassare con un fondo di topinambur, ottenuto con la sola caramellizzazione delle bucce, poi ridotte come se fosse un fondo di carne. Così facendo concentriamo gli zuccheri e le pectine di topinambur e conferiamo al piatto una nota amara e di liquirizia, proprietà molto vicina al carciofo.

 

 

 

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